Copyright © 2017. All rights reserved.

bruniconet

27 Giugno / 2014

Galleria duomo Carrara presenta in anteprima "Semi" della ceramista Arianna Cordiviola.

by >Beatrice Lombardi

Carrara / Via Finelli 22

SEMI Arianna Cordiviola

L’esposizione “Semi” è un punto fermo eppure mobile, una stazione di arrivo e di partenza. Un luogo privato quanto uno spazio di condivisione, in cui convivono il lavoro dell’artista e lo spettatore che ne osserva le opere, ma che anche interagisce con esse, indagando le possibilità aperte da un materiale notoriamente povero come l’argilla. Il naturale conduttore di quel calore che l’artista vi introduce non solo attraverso la cottura, ma nello stesso processo di lavorazione; tramite il contatto continuativo delle mani prima dentro, poi sulla materia. Un contatto dettato dalla consapevolezza mentale e fisica sperimentata durante la creazione che, in questo caso, non è riferita all’estrazione delle forme dal materiale quanto alla costruzione, che emerge dalla manipolazione di terra e acqua. Un procedimento lungo e ponderato che si svolge nel silenzio accogliente del laboratorio e tramite il quale l’artista porta al limite delle loro possibilità la duttilità, la consistenza del materiale, il colore e i pigmenti pur mantenendo la sobrietà e la pulizia delle forme. Il seme viene adottato da Arianna Cordiviola come simbolo del femminile, forma finita e non finita allo stesso tempo che prevede una mutazione: quel germogliare che permette la continua ripetizione di un ciclo fatto di nascita, morte e rinascita. A ispirare il concept alla base dell’esposizione le ricerche di Marija Gimbutas, archeologa e antropologa lituana, sulle civiltà pre indoeuropee, fondate su un pantheon ricco di figure femminili. Divine in quanto donne, personificazione di quei fenomeni naturali ai quali l’umanità del periodo cercava di dare una spiegazione, guardando proprio al corpo della donna come al contenitore straordinario di tutti quei principi sintomo del manifestarsi della natura. Il seme, simile per forma e funzione al ventre gravido della donna, rappresenta la forma perfetta per coinvolgere lo spettatore in un gioco fruitivo fatto di sensazioni e ricordi tattili, ripercorrendo all’indietro la nostra storia personale e collettiva, per riconnetterci a quelle basi naturali che abbiamo sepolto sotto imponenti infrastrutture culturali. Il visitatore che entra nello studio laboratorio di via Finelli è invitato a partecipare, interagendo fisicamente con questi oggetti solidi, che tradiscono senza vergogna la loro precedente sostanza morbida, poi forgiata dal calore del forno. Quando lisci, lasciano sulle dita le tracce della sensazione provata passandoci sopra la mano. Accarezzando timidamente un’opera d’arte. Quando ruvidi, si lasciano toccare, graffiando appena, calamitando l’epidermide, eliminando del tutto la timidezza. La mano non vuole staccarsi dalla superficie tonda. Ne esplora ogni piccola insenatura, ogni escrescenza. La nostra mano, come quella dell’artista prima della nostra, sopperisce alle mancanze dell’occhio, che si ferma alla forma semplice all’interno dello spazio, che non può soppesarne la sostanza. Con le mani scrutiamo la grana della materia, osserviamo le imperfezioni e perfezioni, riattiviamo associazioni sensoriali, abbracciamo completamente con più o meno disinvoltura o predisposizione, la filosofia dell’artista che elegge il tatto come senso principe attraverso il quale leggere e interpretare il mondo circostante.